Tienimi la mano

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Febbraio 2018,mi affaccio dalla finestra è notte, inizia a scendere un po’ di neve. Sono in ospedale a Frosinone insieme a Favour una ragazza nigeriana che è stata operata, un’operazione molto delicata, infatti non potrà più avere figli.

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Da Lahore a Frosinone

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È il 21 dicembre 2020 sono le 11.00  c’è il sole e io ho deciso di andare a trovare mamma, siamo in zona gialla, c’è traffico, guardo gli orari delle circolari sul cellulare e rifletto su quale sarà quella che arriverà prima, mi fermo a chiacchierare con una signora anziana, che cerca compagnia, mentre aspetta la circolare. Deve andare a Frosinone alta come me. Le circolari prima erano meglio mi dice l’anziana signora, adesso ci sono solo due pulsanti, ci sono questi scalini così alti, ho paura ogni volta che devo scendere, mio figlio abita a Milano e qui non ho nessuno.

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Kemey aleka?

Sono le cinque del pomeriggio, quando chiamo Anwar per sapere dove si trova. Lo cerco dalla mattina, dovevamo iniziare il corso di italiano oggi. Chiamo una volta, due, tre, finalmente mi risponde, è a Roma, è alla stazione di Roma termini, me lo immagino, i tabelloni con tutte le destinazioni: Milano c.le, Napoli c.le, Torino P. Nuova. Intorno a lui ci sono tante persone, chi parte per un viaggio di lavoro, chi di piacere, pendolari.

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Il bene genera bene

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Guardo fuori dalla finestra, guardo il calendario, Gregory Isaacs come sottofondo musicale, Alessia che abbraccia le nuvole per sentire l’Albania vicino. Una lacrima sul viso mentre penso a tutte le emozioni e le esperienze vissute.

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Un cono gelato dal sapore amaro

Dietro questo cono gelato c’è la storia di un giovane ragazzo pakistano, che durante l’emergenza coronavirus come molte altre persone che vivono lontano dai loro cari si trova a dover fronteggiare più emergenze. Nel suo caso la disperazione di sua madre in Pakistan che gli chiedeva costantemente di andare in Spagna dal padre ricoverato in ospedale a causa di un brutto incidente.

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La madre degli oggetti portafortuna

Questa scatola è il mio oggetto-ponte, un porta fortuna che mi donò mia zia di ritorno da un viaggio di volontariato in Senegal. Avevo nove anni, o poco meno, quando mia zia partecipò a quella missione: l’associazione con la quale partì portava giochi e altri beni alle famiglie del posto.​
Io decisi di donare ai più piccoli alcuni dei miei giochi, peluches, costruzioni e altro. Quando mia zia ritornò in Italia, mi raccontò che i bambini più grandi decisero di costruire una scatola e di donarmela. Per me diventò subito un oggetto prezioso. Nel corso degli anni ho cambiato spesso la sua collocazione e, ovviamente, sono cambiati gli oggetti custoditi al suo interno: quando ero una bambina, ad esempio, vi nascondevo delle figurine introvabili oppure le carte di Dragon Ball. Crescendo, la mia scelta ricadeva su altri oggetti più importanti e per me ricchi di significato, come gli storici orecchini di mia zia che mi regalò quando nacque mio cugino; oppure uno specchietto regalatomi da una mia cugina di ritorno da un viaggio su cui è inciso il mio nome, un nome così poco comune, da donare un immenso valore a quel piccolo oggetto. E poi, all’interno della mia scatola vi custodisco gelosamente le lettere che ogni fine anno scrivo alla Venera del futuro, alla Venera che sarà: lettere ricche di pensieri positivi e obiettivi da voler e poter raggiungere.